Ideologia del dialogo, strada verso la protestantizzazione

Durante il mese di agosto 2017 si è svolto in rete un interessante dibattito sul dialogo, sul suo senso e i suoi limiti. Ne sono stati protagonisti Silvio Brachetta, Stefano Fontana, Vladimir Kosic, Ettore Malnati, Aldo Maria Valli e … in un certo senso anche il cardinale Giacomo Biffi di venerata memoria. Gli interventi sono stati pubblicati nel sito del settimanale diocesano di Trieste “Vita Nuova”, nel blog di Aldo Maria Valli, mentre La Nuova Bussola Quotidiana ha riproposto un intervento del cardinale Biffi a Bassano del Grappa in occasione del ritiro del Premio alla Cultura Cattolica nel 1993.

Tutto ha avuto inizio quando Silvio Brachetta ha pubblicato un articolo dal titolo “Perfino Jürgen Moltmann dice che il dialogo senza verità è morto”, in cui riprende quanto il novantunenne teologo riformato ha scritto nell’ultimo numero di Concilium nel breve saggio “La Riforma incompiuta. Problemi irrisolti, risposte ecumeniche”. Il dialogo è inflazionato e la teologia è diventata innocua e, quindi, priva di interesse. Al dialogo meglio la disputa.

Che sia proprio un teologo protestante a criticare come il dialogo sia stato inteso ed applicato finora è di grande interesse, mentre i cattolici continuano nella acritica celebrazione di una prassi stantia. Di grande interesse ma anche paradossale, come mostra Stefano Fontana intervenendo a sua volta nel dibattito con l’articolo: “Se i cattolici assolutizzano il dialogo è perché stanno diventando protestanti”. Se infatti la fede è esclusivamente un atto fiduciale personale e non riguarda anche i contenuti – una “fede senza dogmi”, come è quella protestante – si spiega perché il dialogo venga assolutizzato e perda una “misura” che non sia interna al dialogo stesso.

Aldo Maria Valli si inserisce nel dibattito con l’articolo “Dialogo? No, grazie. Meglio la disputa” in cui ripropone le argomentazioni di Brachetta e Fontana secondo cui «Oggi si dialoga senza sapere più per quali contenuti dialogare». «L’argomentazione di Fontana – scrive Valli – è cristallina e non avrebbe bisogno di ulteriori spiegazioni, ma è l’autore stesso ad attualizzare il tutto con un riferimento a una vicenda che ha causato tanto dolore: “Nei giorni scorsi abbiamo assistito alla tragedia del piccolo Charlie Gard. Gli uomini di Chiesa sono arrivati in ritardo, hanno balbettato cose diverse, il quotidiano Avvenire ha deviato l’attenzione dai temi veri e ha detto l’opposto di quanto aveva detto nel 2009 per Eluana Englaro. Non siamo più in grado di confessare insieme nemmeno i principi elementari della legge morale naturale e nemmeno i dieci comandamenti”».  «Insomma – conclude Valli – a dispetto delle preoccupazioni di Paolo VI, il relativismo è entrato nella Chiesa ed ha usato l’idea di dialogo in modo strumentale». Anche Valli preferisce la disputa al dialogo, «Solo che, per disputare, occorre saper ragionare, e proprio questo, oggi, è il problema. Perché la nostra è sì crisi di fede, ma forse, prima ancora, è crisi della ragione». La ripresa del tema di Benedetto XVI è evidente.

Rincara la dose ancora Silvio Brachetta con l’articolo “Quando il «colloquium» diventa un vocabolo a-patico” ove riconduce la problematica alla sua vera origine moderna – vale a dire l’enciclica Ecclesiam suam di Paolo VI del 1964. Quell’enciclica non intendeva lanciare una “ideologia del dialogo”, sta di fatto però che questa ideologia si diffuse rapidamente, nonostante le critiche, che Brachetta opportunamente ricorda, di Romano Amerio, Joseph Ratzinger e Henri de Lubac.

A difesa della Ecclesiam suam di Paolo VI interviene mons. Ettore Malnati nell’articolo “Valore e necessità del dialogo”, in cui ripropone la dottrina di Paolo VI e del Vaticano II sul dialogo, scorgendo una linea continuativa nell’applicazione di questa dottrina da Paolo VI fino a papa Francesco. Malnati non affronta i motivi dell’esistenza di una “ideologia del dialogo” e, quindi, di una deformazione piuttosto sistematica degli autentici intenti della Ecclesiam suam.

Lo fa Stefano Fontana che, oltre ad aver indicato nel suo precedente articolo una causa della “ideologia del dialogo” nella protestantizzazione della teologia cattolica, ora ne indica una seconda nell’assunzione della concezione del dialogo – un dialogo senza verità –  propria della filosofia moderna con l’articolo “Fino  a che punto il concetto moderno di dialogo è penetrato nella teologia cattolica?”. Le due cause – protestantizzazione e dipendenza dalla filosofia moderna – vanno assieme perché è stata proprio la Riforma protestante ad aprire alla modernità, anche filosofica.

Vladimir (Miro) Kosic interviene a sua volta per sottolineare le difficoltà nel dialogo con l’islam, che egli dichiara “impossibile” nell’articolo “Il dialogo alla prova dell’islam”.

Conclude la discussione ancora Silvio Brachetta con l’articolo “Non c’è dialogo senza identità”. Egli cita un insospettabile Walter Kasper per il quale le difficoltà del dialogo (ecumenico) è che ognuno si accorge che dialogare significa di fatto rinunciare alla propria identità per accedere a qualcosa di indistinto. Anche l’arcivescovo Giampaolo Crepaldi ha detto: «[…] ero e sono profondamente convinto che chi non ha chiara la sua identità non è in grado di coltivare alcuna forma di dialogo». Anche la Ecclesiam suam diceva, in fondo, la stessa cosa, ma allora se il dialogo ha bisogno di identità ha bisogno della verità. La dialettica moderna fa confluire le identità nel loro superamento, ma così le fa morire. Si ripropone allora il rapporto della teologia cattolica con la filosofia moderna e la necessità del recupero del concetto di analogia.

Nel frattempo, e senza collegamenti diretti con questo dibattito, La Nuova Bussola Quotidiana e Il Timone hanno pubblicato lo spezzone di un intervento del cardinale Giacomo Biffi. Egli parlò del dialogo a Bassano del Grappa l’8 ottobre 1993 alla cerimonia del conferimento del Premio alla Cultura Cattolica. Una degna conclusione anche del dibattito estivo di cui abbiamo brevemente riferito.

Stefano Fontana

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