Chiese sempre più spoglie di sacralità

Gregorio Magno considerava le pareti dipinte “la bibbia dei poveri”, perché erano il mezzo più efficace per comunicare con chi non sapeva leggere. Dagli affreschi, dai mosaici, dalle vetrate istoriate, il popolino traeva la religiosità necessaria a sviluppare una fede appropriata, a rinsaldare i legami della collettività, a assorbire i dettami, a digerire i misteri. Le pitture, le sculture, le architetture parlavano una lingua assai più intelligibile che non il latino dei chierici o le dispute dei padri spirituali.
Oggi le chiese restano, al di là della fede, come dei contenitori di bellezze sedimentate nel tempo. Sono dei musei a ingresso libero (fa eccezione il duomo di Siena), centri di tutela e conservazione di un immenso patrimonio culturale

L’arte contemporanea ha bisogno di un vaglio accurato, non è come nel passato dove la mancanza di talento era comunque compensata dalla perizia artigiana. Gli artieri dai mille mestieri, gli scalpellini, i maestri comacini, potevano dialogare col Bernini, anche restando nell’anonimato di un artigianato di maniera. Ma oggi, l’arte contemporanea, è un’altra cosa, è una questione spinosa, opinabile, scivolosa. Tutti si sentono artisti. Ogni improvvisazione, ogni approssimazione, ogni estemporaneità, può passare per creatività. Per scelta inoppugnabile dell’artista. Nessuno osa più dire pane al pane e vino al vino. Che magari quella tale opera è un guazzabuglio senza capo né coda.

E questo è quel che succede un po’ ovunque in certe chiese dove, accanto a Caravaggio, Carracci, Perugino, puoi trovare accrocchi di Mastro Pincopallino, oppure, accanto al Sansovino o al Pinturicchio, puoi imbatterti nella presenza del Primo Inguacchio da Strapazzo. Segno evidente, nel migliore dei casi, di una visione arretrata, nel peggiore, di una conduzione indifferente, di una mancanza totale di scelte e di opinioni in materia. Frutto di uno sciagurato lasciar fare, dell’ignoranza, del pilatesco lavarsene le mani.

Non vorremmo dirlo, ma l’immissione in templi di rilevanza storico culturale di nuovi artisti spesso dal livello decisamente domenicale fa pensare che il criterio di ammissione dipenda dalla pura contiguità con la vita parrocchiale, dalla sola familiarità con l’ambiente ecclesiale, da una chiacchierata postprandiale con un monsignore di turno.

Mi rivolgo alle autorità preposte (se ce ne sono): abbiate pietà, istituite una commissione di controllo, sorvegliate sulla rischiosa commistione dell’odierno con l’eterno, ripulite le vostre/nostre chiese dal ciarpame di tanti artistoidi che nulla hanno a che vedere con una tradizione millenaria che grida vendetta tremenda vendetta.

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Cattedrale di Palermo avviso di toilette dietro l altare

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