Non tingete la chiesa di arcobaleno

Troppo, per me. Ho più volte provato a leggere l’intervento del gesuita James Martin al World Meeting of Families, ma per me è troppo una relazione in cui il lessico arcobaleno surclassa quello cristiano (l’acronimo «Lgbt» ricorre 96 volte, parecchie di più di «Gesù», 26, e di «Cristo», nominato appena 3 volte, come fosse un refuso) e in cui soprattutto si fa una gran confusione. Mi spiego. Può essere capitato, anzi sarà senz’altro capitato, che dei battezzati, pure dei religiosi, abbiano assunto atteggiamenti di pregiudizio, se non peggio, verso persone con tendenze omosessuali, ma questo che significa? Che sono stati sbagliati quei singoli atteggiamenti, o che è sbagliato l’insegnamento morale della Chiesa? Padre Martin non arriva a dirlo apertamente, il coraggio non è il suo forte, ma è chiaro che è sulla seconda ipotesi che vuole andare a parare.

Inoltre, nel suo intervento affastella imprecisioni e bufale. Per esempio quando lascia intendere che l’orientamento omosessuale delle persone sia del tutto innato (cosa mai dimostrata) o quando afferma il legame tra suicidi di soggetti con tendenze omosessuali e religiosità familiare (cosa non dimostrata, infatti Martin parla di «uno studio», uno solo, e manco riporta quale). Ma soprattutto mi ha infastidito l’espressione, ripetuta allo sfinimento, «cristiani Lgbt», per il semplice fatto che, credo non l’unico, io sono un cattolico disorientato, uno spesso infedele, uno troppo spesso peccatore, ma un «cattolico etero» proprio no. Quest’insistito categorizzare infatti mi spaventa non solo perché risulta poco evangelico, ma perché è molto diabolico dato che il diavolo è proprio colui che divide. Ecco, fossi a Dublino chiederei a padre Martin perché al divisore e tentatore non ha fatto il minimo accenno, anzi no. Il gesuita ha già straparlato abbastanza.

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