Thomas G. Weinandy è teologo tra i più noti e stimati e vive a Washington nel Collegio dei Cappuccini, l’ordine francescano al quale appartiene. È membro della commissione teologica internazionale, la commissione che Paolo VI volle a fianco della congregazione per la dottrina della fede perché questa si avvalesse del fior fiore dei teologi di tutto il mondo. Ed è membro di questa commissione dal 2014, ivi nominato da papa Francesco.
Lo scorso mese di maggio, mentre si trovava a Roma per una sessione della commissione, sentì sbocciare in sé l’idea di scrivere a Francesco una lettera aperta, per confidargli l’inquietudine non solo sua ma di molti per il crescente caos nella Chiesa, che vedeva causato in buona parte proprio dal papa.
Pregò a lungo, anche sulla tomba di Pietro. Chiese a Gesù di aiutarlo a decidere se scrivere o no la lettera e di dargli a tal fine un segno… E il segno arrivò il giorno dopo, identico a quello che lui stesso aveva invocato nella preghiera, e che egli ora racconta così:
Confortato dal Cielo, Padre Weinandy scrisse dunque la lettera. A metà estate la fece arrivare a papa Francesco. E oggi, festa di Tutti i Santi, la rende pubblica, negli Stati Uniti sul portale di informazione religiosa Crux e a Roma, in quattro lingue, su Settimo Cielo.
Padre Weinandy, 71 anni, ha insegnato negli Stati Uniti in numerose università, a Oxford per dodici anni e a Roma alla Pontificia Università Gregoriana.
È stato per nove anni, dal 2005 al 2013, direttore esecutivo della commissione per la dottrina della conferenza episcopale degli Stati Uniti.
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Santità,
scrivo questa lettera con amore per la Chiesa e rispetto sincero per il suo ufficio. Lei è il Vicario di Cristo sulla terra, il pastore del suo gregge, il successore di san Pietro e quindi la roccia su cui Cristo costruisce la sua Chiesa. Tutti i cattolici, clero e laicato assieme, devono guardare a lei con fedeltà e obbedienza filiali, fondate sulla verità. La Chiesa si rivolge a lei in uno spirito di fede, con la speranza che lei la guiderà nell’amore.
Tuttavia, Santità, una confusione cronica sembra contrassegnare il suo pontificato. La luce della fede, della speranza e dell’amore non è assente, ma troppo spesso è oscurata dall’ambiguità delle sue parole e azioni. Ciò alimenta nei fedeli un crescente disagio. Indebolisce la loro capacità di amore, di gioia e di pace. Mi consenta di offrire alcuni brevi esempi.
In primo luogo c’è il controverso capitolo 8 di “Amoris laetitia”. Non c’è bisogno qui di dire le mie personali preoccupazioni riguardo al suo contenuto. Altri, non solo teologi ma anche cardinali e vescovi, lo hanno già fatto. La fonte principale di preoccupazione è il modo con cui lei insegna. In “Amoris laetitia”, le sue indicazioni a volte sembrano intenzionalmente ambigue, e in questo modo indirizzano sia a un’interpretazione tradizionale dell’insegnamento cattolico sul matrimonio e il divorzio, sia a un’altra interpretazione che potrebbe implicare un cambiamento in quell’insegnamento. Come lei nota giustamente, i pastori dovrebbero accompagnare e incoraggiare le persone in situazioni matrimoniali irregolari; ma l’ambiguità persiste sul vero significato di questo “accompagnamento”. Insegnare con una tale mancanza di chiarezza, per di più apparentemente voluta, inevitabilmente conduce al pericolo di peccare contro lo Spirito Santo, lo Spirito della verità. Lo Spirito Santo è dato alla Chiesa, e in particolare a lei, per sconfiggere l’errore, non per favorirlo. Inoltre, solo dove c’è verità può esserci amore autentico, perché la verità è la luce che rende liberi uomini e donne dalla cecità del peccato, un’oscurità che uccide la vita dell’anima. Eppure sembra che lei censuri e persino derida coloro che interpretano il capitolo 8 di “Amoris laetitia” in accordo con la tradizione della Chiesa, come se fossero dei farisei che tirano le pietre e incarnano un rigorismo privo di misericordia. Questo tipo di calunnia è alieno dalla natura del ministero petrino. Alcuni dei suoi consiglieri, purtroppo, sembrano impegnarsi in azioni del genere. Tale comportamento dà l’impressione che i suoi punti di vista non possano sopravvivere a delle verifiche teologiche, e quindi debbano essere tenuti in piedi da argomenti “ad hominem”.
In secondo luogo, troppo spesso la sua maniera d’agire sembra declassare l’importanza della dottrina della Chiesa. Ripetutamente lei descrive la dottrina come una cosa morta e libresca, lontana dalle preoccupazioni pastorali della vita quotidiana. I suoi critici sono stati accusati, stando alle sue stesse parole, di fare della dottrina un’ideologia. Ma è precisamente la dottrina cristiana – comprese le distinzioni sottili fatte a riguardo di credenze centrali come la natura trinitaria di Dio, la natura e le finalità della Chiesa, l’incarnazione, la redenzione, i sacramenti – che libera le persone dalle ideologie mondane e garantisce che effettivamente predichino e insegnino l’autentico e vivificante Vangelo. Coloro che svalutano le dottrine della Chiesa si separano da Gesù, autore della verità. Ciò che essi possiedono, e solo questo possono possedere, è un’ideologia che si conforma al mondo del peccato e della morte.
In terzo luogo, i fedeli cattolici possono essere solo sconcertati dalle sue nomine di certi vescovi, uomini che non solo appaiono aperti verso quanti hanno una visione contrapposta alla fede cristiana, ma addirittura li sostengono e difendono. Ciò che scandalizza i credenti, e anche alcuni colleghi vescovi, non è solo il fatto che lei ha scelto tali uomini per essere pastori della Chiesa, ma anche che lei sembra stare in silenzio di fronte a ciò che insegnano e alla loro pratica pastorale. Questo indebolisce lo zelo dei molti uomini e donne che hanno sostenuto l’insegnamento cattolico autentico per lunghi periodi di tempo, spesso a rischio della loro reputazione e serenità. Il risultato è che molti dei fedeli, che incarnano il “sensus fidelium”, stanno perdendo fiducia nel loro supremo pastore.
Quarto, la Chiesa è un corpo unico, il Corpo mistico di Cristo, e lei ha il mandato dal Signore stesso per promuovere e rafforzare la sua unità. Ma le sue azioni e parole troppo spesso sembrano intente a fare il contrario. Incoraggiare una forma di “sinodalità” che permette e promuove diverse opzioni dottrinali e morali all’interno della Chiesa può solo portare a una maggior confusione teologica e pastorale. Una tale sinodalità è insipiente e di fatto agisce contro l’unità collegiale tra i vescovi.
Padre Santo, questo mi porta alla mia preoccupazione finale. Lei ha parlato spesso della necessità della trasparenza all’interno della Chiesa. Lei ha incoraggiato spesso, soprattutto durante i due sinodi passati, tutte le persone, specialmente i vescovi, a parlare francamente e a non aver paura di ciò che il papa potrebbe pensare. Ma lei ha notato che la maggioranza dei vescovi di tutto il mondo stanno fin troppo in silenzio? Perché è così? I vescovi imparano alla svelta, e ciò che molti di loro hanno imparato dal suo pontificato non è che lei è aperto alla critica, ma che lei non la sopporta. Molti vescovi stanno in silenzio perché desiderano essere leali con lei, e quindi non esprimono – almeno in pubblico; in privato è un’altra cosa – le preoccupazioni che il suo pontificato alimenta. Molti temono che se parlassero con franchezza sarebbero emarginati o peggio.
Mi sono spesso chiesto: “Perché Gesù ha lasciato che tutto questo accada?” L’unica risposta che mi viene in mente è che Gesù vuole manifestare proprio quanto debole sia la fede di molti all’interno della Chiesa, anche fra troppi dei suoi vescovi. Ironia della sorte, il suo pontificato ha dato a coloro che sostengono punti di vista teologici e pastorali rovinosi la licenza e la sicurezza di uscire in piena luce e di esibire la loro oscurità precedentemente nascosta. Nel riconoscere questa oscurità, la Chiesa umilmente sentirà il bisogno di rinnovare se stessa e così continuare a crescere in santità.
Padre Santo, prego per lei costantemente e continuerò a farlo. Che lo Spirito Santo la guidi alla luce della verità e alla vita dell’amore, così che lei possa rimuovere l’oscurità che ora nasconde la bellezza della Chiesa di Gesù.
Sinceramente in Cristo,
Thomas G. Weinandy, O.F.M., Cap.
31 luglio 2017
Festa di S. Ignazio di Loyola
Finalmente un Cappuccino serio, sono diventati rari…
POST SCRIPTUM – Poco dopo la pubblicazione di questa sua lettera e dopo un colloquio con il segretario generale della conferenza episcopale degli Stati Uniti, padre Weinandy ha dato le dimissioni da “advisor” della commissione dottrinale della conferenza. E il presidente della stessa, il cardinale Daniel N. DiNardo, ha commentato la sua “partenza” con questa nota:
U.S. Conference of Catholic Bishops President on Dialogue Within the Church http://www.usccb.org/news/2017/17-203.cfm
1 novembre 2017
WASHINGTON – Il cardinale Daniel N. DiNardo di Galveston-Houston, Presidente della Conferenza Usa dei Vescovi Cattolici, ha pubblicato la seguente dichiarazione sulla natura del dialogo all’interno della Chiesa oggi.
La seguente dichiarazione completa:
“La partenza oggi di P. Thomas Weinandy, OFM, Cap., Come consulente del Comitato di Dottrina e la pubblicazione della sua lettera a Papa Francesco ci offre l’opportunità di riflettere sulla natura del dialogo all’interno della Chiesa. della Chiesa, dei ministri, dei teologi e dei laici, hanno tutti discusso e hanno avuto opinioni personali su una varietà di questioni teologiche e pastorali. In tempi più recenti, questi dibattiti hanno fatto la loro strada nella stampa popolare. spesso queste cose sono spesso espresse in termini di opposizione, come politico – conservatore contro liberale, sinistra contro destra, pre – Vaticano II vs Vaticano II. Queste distinzioni non sono sempre molto utili.
La carità cristiana deve essere esercitata da tutti i partecipanti. Detto questo, tutti dobbiamo riconoscere che esistono legittime differenze e che è l’opera della Chiesa, l’intero corpo di Cristo, a lavorare verso una comprensione sempre crescente della verità di Dio.
Come vescovi, riconosciamo la necessità di discussioni oneste e umili riguardo a questioni teologiche e pastorali. Dobbiamo sempre ricordare il “presupposto” di S. Ignazio di Loyola ai suoi esercizi spirituali: “… che si supponga che ogni buon cristiano dovrebbe essere più desideroso di mettere una buona interpretazione sull’affidamento di un prossimo che di condannarlo”. Questo presupposto dovrebbe essere offerto ancor più all’insegnamento del Nostro Santo Padre.
La Conferenza degli Stati Uniti dei Vescovi Cattolici è un corpo collegiale di vescovi che lavorano verso questo obiettivo. Pertanto, come pastori e insegnanti della fede, mi permetta di affermare che siamo sempre in forte unità e fedeltà con il Santo Padre, Papa Francesco, che “è la fonte e la fondazione perpetua e visibile dell’unità dei vescovi e dei l’intera società dei fedeli “(LG, n.23)”.